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Il porto della fama e il Segretario

«Or, se mi mostra la mia carta il vero, / non è lontano a discoprirsi il porto […] Or comincio a discernere chi sono / questi che empion del porto ambe le sponde. Par che tutti s’allegrino ch’io sia / venuto a fin di così lunga via». Con tali versi Ariosto avvia l’ultimo canto del Furioso, immaginando una pompa dei più illustri letterati del tempo, convenuti a salutarlo al compimento della sua impresa poematica. Tra questi manca Niccolò Machiavelli, il quale, in una lettera a Lodovico Alamanni del 17 dicembre 1517, esprimeva così il proprio disappunto: «Io ho letto ad questi dì Orlando Furioso dello Ariosto, et veramente el poema è bello tucto, et in di molti luoghi è mirabile. Se si trova costì raccomandatemi ad lui, et ditegli che io mi dolgo solo che, havendo ricordato tanti poeti, che m’habbi lasciato indreto come un cazo, et ch’egli ha facto ad me quello in sul suo Orlando, che io non farò a lui in sul mio Asino». O che l’Alamanni non si facesse portavoce di Niccolò, o che la sensibilità politica e letteraria di Ariosto avesse altri orizzonti, certo è che neppure nel Furioso del 1532 Machiavelli trovò posto sulle sponde del porto ariostesco. Recenti edizioni e studi filologici dedicati ai due autori ed alla cultura letterarioeditoriale di primo Cinquecento, associano però il poeta e lo statista nell’immaginario dei lettori moderni.

Seiten 348 - 356

DOI: https://doi.org/10.37307/j.1866-5381.2009.02.09
Lizenz: ESV-Lizenz
ISSN: 1866-5381
Ausgabe / Jahr: 2 / 2009
Veröffentlicht: 2009-12-30
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