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Le forme del “comico” nella letteratura umanistica.

Ai nostri tempi si è affermata, soprattutto ad opera di Bachtin, l’idea del comico, del riso, come capovolgimento della morale comune, come trasgressione. Le premesse non mancano nel passato – basti pensare al costume del carnevale o a certe punte estreme della poesia burlesca –, e tuttavia perfino la facezia, tipico genere del disimpegno comico, era concepita entro i limiti della virtù, apparteneva al genere della conversazione, anzi originariamente, come si vede nel libro II De oratore di Cicerone, al genere oratorio come strumento di persuasione. Alleggerire il discorso con battute scherzose, sostenere con paradossi ridicoli il proprio parere su questioni controverse, era considerata arte del perfetto oratore. Giovanni Pontano, che scrisse alla fine del Quattrocento un’opera in sei libri sulla conversazione, De sermone, propriamente sull’uso umoristico della parola, poneva la facetia, il witz, il motto piacevole, una specie minore del genere narrativo, al centro della trattazione complessiva dell’arte del narrare. La facetia, connessa con la facundia, è opera della facetudo, una qualità del comportamento in cui si realizza la convergenza fra arte e virtù, concetto fondamentale nel Rinascimento.

Ma la letteratura umanistica nasce con una vocazione di stile alto. Il classicismo tende originariamente a recuperare la gravità dell’epica e della tragedia, e ad attribuire alle forme comiche e popolari una minore dignità. Il “comico” continuò a evolversi nelle forme della letteratura volgare; anzi la lingua toscana, prima di essere adoperata nei generi gravi dell’arte letteraria, era rinomata soprattutto per l’impiego nella facezia e nei generi minori. E non fu la letteratura in volgare a introdurre nel classicismo umanistico il registro della comicità; quella comicità che non va intesa soltanto come apertura alle forme del riso, ma come alleggerimento dell’oratoria mediante lo stile medio. Il recupero del registro comico avvenne nell’ambito dello stesso classicistico, e derivava dallo stesso principio che aveva spinto la cultura ufficiale a restaurare la latinità: per realizzare l’illusione umanistica di far rivivere una lingua non più comune, bisognava far acquisire al latino tutte le abilità del linguaggio comune, e prima fra queste la comicità, necessario registro di una lingua attuale ed elemento fondamentale della conversazione.

Seiten 287 - 296

DOI: https://doi.org/10.37307/j.1866-5381.2007.02.06
Lizenz: ESV-Lizenz
ISSN: 1866-5381
Ausgabe / Jahr: 2 / 2007
Veröffentlicht: 2007-10-01
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